A parlare è Gabriele Albanesi, classe 1978, regista del film in locandina.
IL BOSCO FUORI è innanzitutto un film underground: budget di 45.000 euro [2] e girato in digitale da un regista decisamente giovane, proiettato in un solo cinema di Roma ma che in seguito fu scoperto da Sam Raimi (quello de LA CASA o per i profani ache SPIDERMAN…) e diffuso in vhs in tutto il mondo. In Giappone è diventato uno tra i film italiani più venduti (in culo a Moretti!) conosciuto con il nome di ITALIAN CHAINSAW ed è già culto in svariati paesi.[3]
Giarando in rete le recensioni sono tutte entusiastiche ma non mi fido mai delle cose di cui troppi ne parlano bene…
Inizia il film. Una delle prime scritte che appare è “con la collaborazione della scuola nazionale di cinema”, preceduto da “in associazione con Manetti Bros”. Purtroppo l’associazione dei Manetti Bros (coppia di registi-fratelli italiani davvero all’avanguardia, provenienti dal mondo dei videoclip e secondo me davvero tra i migliori del panorama italiano) non basta per dare quel tocco epico/spaghetti/western/pastacolsugo/trash che è tutto loro. L’impostazione dannosa della scuola del cinema c’è. Infatti sembra una fiction di raiuno. Recitazione sciatta, dialoghi piatti, personaggi stereotipati, incedere lento e teatrale. La scuola di cinema va chiusa col fuoco prima che distrugga altri giovani promettenti!
Ci sono remake di film che si scostano più dall’originale quanto IL BOSCO FUORI non si scosti dal leggendario NON APRITE QUELLA PORTA di Tobe Hooper (poi mi hanno detto ci sono altre citazioni… a me sembra proprio un remake di quello…). Ma in fondo va bene così. Non sarà originale e visionario ma certamente è pungente e privo di surplus radical-chic.
Le scene splatter sono curate da Sergio Stivaletti e sono certamente di enorme livello: vintage e sanguinolente. Bisogna davvero andare indietro agli anni 70 per vedere cose così! Stupende e ricercate!
In analisi finale IL BOSCO FUORI cosa può dare? Innanzitutto fa parlare di di prodotti underground, quelli che nei paesi esteri hanno un circuito proprio paragonabile al mainstream e lo influenzano, e questo è bene. In Italia invece underground vuol dire tizi sfigati che vogliono fare gli autori navigati proponendo citazioni culturali di sta cippa di minchia. Crepi l’intelligenza! Viva le cose vere! Viva il cinema come arma e non come rincoglionimento di massa! Gabriele Albanesi ci prova, ha tutta la mia simpatia ma manca purtroppo una reale base sotto culturale (preferisce Dario Argento e non Fulci o Fragasso, ancora Arancia Meccanica e Kill Bill, non chennesò, Street Trash, Body Bags e Virus) che un lo rende certamente più presentabile ma meno coraggioso. In un mondo dove il cinema è morto sotto mainstream e intellettualoidi da solotto, diventando simbolo di come uno stato sciatto produca cose sciatte, Albanesi, che ripeto, in un'altra occasione avrebbe fatto molto più, si ferma ad essere un riformatore e non un guerrigliero rivoluzionario.
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