lunedì 27 febbraio 2012

Arcese delocalizza con i soldi pubblici



Arcese licenzia in Italia, assume in Romania 
e prende soldi pubblici 

A lanciare l'allarme sono i sindacati: Arcese, azienda trentina dell'autotrasporto, una delle più grandi in Italia, licenzia circa un quarto dei dipendenti italiani mentre usufruisce di aiuti pubblici e, soprattutto, mentre assume in Romania. L'azienda, che dovrebbe chiudere il terzo bilancio in rosso, per ora non commenta, né parla la Provincia di Trento. Ma intanto il Senato aiuta il settore del trasporto su gomma a non subire la concorrenza di quello su rotaia.

L’allarme è partito pochi giorni fa dal responsabile del Sindacato di Base Multicategoriale di Trento, Fulvio Flammini: Arcese Trasporti Spa, con sede ad Arco (Trento) una delle più grandi società italiane di autotrasporto, guidata da Eleuterio Arcese, presidente di Anita (associazione di categoria aderente a Confindustria), «ha avviato lo scorso 30 gennaio le procedure di licenziamento collettivo per 190 autisti, 10 operai e 50 impiegati, praticamente un quarto dei dipendenti (in Italia sono circa 1.100, 4mila in tutto il mondo, nda)».

Consapevole che la crisi del settore è forte, Flammini ha tuttavia sottolineato almeno tre aspetti peculiari dell’iniziativa: «Ci sono voluti 20 giorni perché, indirettamente, venissimo a sapere che Arcese – seguendo la normativa che prevede che in caso di richiesta di mobilità l’azienda convochi solo le sigle firmatarie del contratto nazionale – aveva, per avviare la procedura, già incontrato due volte a Roma (8 e 17 febbraio) i responsabili di Cgil, Cisl e Uil. Che evidentemente non hanno ritenuto opportuno comunicare alla totalità dei dipendenti che un quarto di loro rischia il licenziamento». Un comportamento dei sindacati maggiori che Flammini riconduce ai dissidi fra le associazioni dei lavoratori in seno ad Arcese: «Sono mesi che, insieme agli altri sindacati di base (Slai Cobas e Confederazione Cobas) cerchiamo di eleggere le Rsu, subendo il boicottaggio della “triplice”, che, consapevole di essere minoritaria, continua a ostacolare la nomina».

Giuseppe La Pietra, responsabile provinciale di Fit Cisl (la sezione del sindacato dedicata ai trasporti) ha replicato a Flammini, sostenendo che «non è stato comunicato nulla per il semplice fatto che l’azienda non ha presentato un preciso piano di impresa: non avendo dati certi, non potevamo dare notizia di alcunché, anche perché la procedura di mobilità non è stata da noi accettata e non è partita. Nel secondo incontro, quindi, il tavolo è saltato e adesso aspettiamo una convocazione dal Ministero, dopo che la Provincia non ci ha invitato al vertice organizzato con l’azienda (il 21 febbraio, nda)».

Il rapporto fra la Provincia di Trento – nello specifico rappresentata dall’assessore all’Industria Alessandro Olivi – e Arcese è proprio il secondo aspetto peculiare evidenziato da Flammini, ricordando l’operazione di leaseback con cui l’ente nel 2009 comprò da Arcese per 18,6 milioni di euro un’area di 47mila mq per poi riaffittarla all’azienda. Come ricordato dalla Provincia stessa (pag.45), l’operazione mirava allo sviluppo del traffico su rotaia e vincolava l’azienda a mantenere 791 dipendenti nelle sue sedi in provincia di Trento. «Sorvolando sulle modalità con cui si è mascherato un contributo pubblico ad un’azienda del territorio in crisi, questa è la ragione» ha commentato Flammini «per cui chiediamo innanzitutto che la Provincia faccia pressione perché Arcese, prima della mobilità, faccia richiesta di misure più idonee a garantire la salvaguardia del lavoro, come ad esempio la cassa integrazione straordinaria (fra una settimana terminerà quella ordinaria per 168 dipendenti, nda), e secondariamente che pretenda da Arcese la restituzione dei 18,6 milioni, essendo venuta meno la clausola del mantenimento dell’occupazione. Se ciò non avverrà denunceremo il fatto alla procura competente e poi ci rivolgeremo anche all’Inps per le ‘strane’ casse integrazioni che in Arcese hanno preceduto i licenziamenti».

Il riferimento alla procedura di cassa integrazione ordinaria in essere, avviata due anni fa, chiama in causa il terzo punto oscuro della vicenda. Sia Flammini che il collega Antonio Mura (in un’intervista al Trentino), infatti, hanno affermato che, a fronte dei tagli operati da Arcese da tre anni a questa parte nella forza lavoro italiana, soprattutto fra gli autisti, la società avrebbe cominciato a cercare e ad assumere personale comunitario, ma proveniente da paesi esteri (Slovacchia e Romania in particolare), immatricolando molti dei suoi mezzi in paesi in cui sono state aperte apposite filiali (l’ultima in Romania). Il che stonerebbe con i soldi che il contribuente (attraverso l’Inps) spende per pagare il personale di Arcese in cassa integrazione.

Difficile naturalmente trovare conferme ufficiali a tale pratica. Certo che a farsi un giro fra i forum dei camionisti rumeni e i siti di annunci di offerte di lavoro a Bucarest e dintorni parrebbe che presso Arcese Transport Srl (società di diritto rumeno con sede a Cluj) le assunzioni siano fioccate, anche in tempi recenti (si veda ad esempio qui, qui e qui).

L’azienda – che dovrebbe chiudere il terzo bilancio negativo di fila (-16,8 milioni di euro nel 2009 e -19,6 l’anno dopo) con un fatturato in calo (circa 250 milioni contro i 288 del 2010) – ha per ora mantenuto il riserbo: «Preferiamo non commentare. Stiamo cercando di uscire da questa situazione tutelando il più possibile i dipendenti e un gruppo che dà lavoro non a 250 persone, ma a 4mila» ha commentato Aurora Arcese. Nonostante un giorno e mezzo di approcci con il suo ufficio stampa l’assessore Olivi non ha invece trovato il tempo di rispondere alle nostre domande e di fornire un resoconto del meeting con l’azienda.

A proposito di politiche per l’intermodalità e dello switch dalla gomma alla rotaia, è curioso (quanto forse intempestivo), infine, che proprio Anita abbia diffuso questo comunicato: «La Commissione Esteri del Senato ha votato un provvedimento che conferma la volontà dell'Italia di escludere le infrastrutture per il trasporto dall'accordo internazionale che tutela il sistema ambientale alpino. Siamo soddisfatti che il Senato abbia confermato la decisione assunta dalla Camera nel 2010, sostenuta dal precedente Governo e dalla Consulta generale per l’autotrasporto e la logistica. Si tratta di un risultato importante che auspichiamo venga approvato definitivamente in aula», ha dichiarato Eleuterio Arcese, presidente di Anita. «La ratifica del Protocollo trasporti comporterebbe la rinuncia del nostro Paese alla costruzione e al potenziamento delle infrastrutture stradali sulle Alpi, con inevitabili ripercussioni sul traffico stradale dell’arco alpino, già penalizzato da misure restrittive di transito. Una limitazione al traffico stradale di merci, in assenza di una valida alternativa ferroviaria, penalizzerebbe non solo l’autotrasporto ma l’intero sistema economico italiano».

Speriamo che prossimamente Arcese possa spiegare anche quale parte dei soldi necessari a costruire «una valida alternativa ferroviaria» sulle Alpi, da decenni mancanti, venga ogni anno spesa dallo Stato per tenere in piedi i bilanci delle aziende di autotrasporto.

Fonte: http://www.linkiesta.it/arcese-romania#ixzz1naykIpls

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Sistema mafioso e assassino. Ecco chi si prende il nostro futuro.

venerdì 24 febbraio 2012

Buttafuoco a Pergine Valsugana


Pergine Valsugana, Auditorium don Milani Venerdì 24 febbraio 2012 - ore 20.30 

Un libro che regala al lettore una certezza e una speranza. La certezza è quella di trovarvi la conferma che Pietrangelo Buttafuoco è, indiscutibilmente, uno dei più originali scrittori contemporanei. La speranza è quella di immaginare un futuro di pace e armonia nel più bel continente del mondo, il “continente liquido”: il nostro splendido Mediterraneo.

per info: www.vxp.it

lunedì 20 febbraio 2012

Arcese: altri 250 licenziamenti nonostante i contributi del 2009



Arcese: licenziamento per 250 dipendenti
Flammini (sindacato di base) critica Cgil, Cisl e Uil. L'azienda: solo così ci salviamo 


ARCO. Lo scorso 30 gennaio Arcese Trasporti ha avviato le procedure di licenziamento collettivo per 190 autisti, 10 operai e 50 impiegati: tutti presso le unità di Arco e di Rovereto. La stessa Arcese, due giorni fa, venerdì, avrebbe incassato dal sindacato Cgil-Cisl-Uil la conclusione - a Roma - delle procedure previste per questi licenziamenti di massa. A denunciare la riduzione di personale è Fulvio Flammini, referente provinciale del Sindacato di Base Multicategoriale.
In una nota diffusa ieri sera, Flammini afferma che «la velocità con cui si è conclusa questa prima fase delle procedure è alquanto sospetta, anche perché in Arcese vi sono tuttora 168 lavoratori in cassa integrazione fino a fine febbraio». Flammini, nella nota, ricorda come nel non lontano settembre 2009, la Provincia di Trento, con l'assessore Olivi, abbia concluso con Arcese un'operazione di lease-back che ha portato in azienda contributi per un valore di oltre 18 milioni di euro. «Questo in cambio del mantenimento della forza lavoro. Come è possibile che ora si proceda a dei licenziamenti massicci?».
«Gli esuberi di cui si parla sono gli stessi indicati nel 2009 con la dichiarazione dello stato di crisi, crisi per altro acuita dall'attuale situazione finanziaria - spiega Claudio Collotta, direttore del personale del gruppo Arcese - da mesi stiamo lavorando a Roma, con il sindacato, per trovare soluzioni che abbiano il minor impatto possibile e che permettano all'azienda di salvaguardare il patrimonio umano». Attualmente il gruppo conta 1.130 dipendenti. La conclusione dell'iter? «Riteniamo sia possibile trovare un accordo - conclude Collotta - entro la fine di marzo».

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Ancora una volta piogge di contributi che non hanno mai risolto i problemi mentre i grossi sindacati sono più attenti a prendere soldi che a difendere i lavoratori. Servi.

venerdì 17 febbraio 2012

CasaPound Italia Riva del Garda - Commemorazione Martiri delle Foibe 2012

Face the Truth


Concerto con NO PRISONER, BRIGATA ZIDIOSA e GREEN ARROWS per la presentazione del loro nuovo album Face the Truth edito da Black Shirts Records.

Per info: ub37transfer@gmail.com

martedì 14 febbraio 2012

Dresda 1945


"Verso la metà di febbraio la lontana città di Dresda fu sottoposta, col deliberato intento di seminar strage fra la popolazione civile, ad un micidiale attacco sferrato contro i quartieri del centro, non contro gli stabilimenti o le linee ferroviarie"
 Basil Liddell Hart, esperto di storia militare e capitano inglese

14 febbraio 1945: i bombardieri alleati rasero al suolo una gran parte del centro storico di Dresda (bombardamento a tappeto), causando una strage di civili, con obiettivi militari solo indiretti. Fu uno dei bombardamenti con più vittime civili della seconda guerra mondiale. Il numero delle vittime fu stimato in 250.000.


domenica 12 febbraio 2012

CasaPound non scorda


Marocchi: «La nostra comunità ritiene doveroso ricordare»
Le rose di CasaPound in Largo Caduti delle Foibe

RIVA. Come da alcuni anni a questa parte, ieri pomeriggio CasaPound e Blocco Studentesco hanno commemorato, deponendo delle rose, i martiri delle foibe nel luogo loro dedicato al Rione Degasperi. «Mentre in alcuni comuni d’Italia - scrive Alessandro Marocchi, coordinatore rivano e provinciale di CasaPound - si fa strada una nuova ondata di negazionismo strisciante, la nostra comunità ritiene doveroso ricordare con ancora più forza il sacrificio dei nostri connazionali infoibati o costretti ad abbandonare le loro case dalla furia slavo-comunista. Cortei vietati, spazi non concessi, manifestazioni non autorizzate per sedicenti problemi burocratici o di ordine pubblico - sottolinea Marocchi - sono modi per tradire la memoria di quei martiri e un tentativo di ributtare nel dimenticatoio una tragedia su cui il silenzio l’ha fatta da padrone per oltre sessant’anni».

il Trentino 12/02/2012

venerdì 10 febbraio 2012

La verità non può essere infoibata


V edizione della manifestazione virtuale 
promossa da CasaPound, dalle 12 speciale su Rbn

Roma, 9 febbraio – Con un’ora di ‘silenzio’ e il Tricolore listato a lutto in home page, centinaia di siti internet, blog e forum venerdì 10 febbraio, dalle 11 alle 12, ricorderanno le 30mila vittime delle foibe. E’ la quinta edizione della manifestazione virtuale “10 febbraio: io non scordo”, organizzata da CasaPound Italia e Radio Bandiera Nera, in collaborazione con Novopress e No Reporter, nel Giorno del Ricordo. A partire da mezzogiorno, poi, su Rbn (www.radiobandieranera.org) andrà in onda uno speciale dedicato ai tragici eventi che dopo l’8 settembre 1943 colpirono la comunità italiana di Istria, Dalmazia e Friuli-Venezia Giulia: approfondimenti, notiziari, interviste, letture del teatro non conforme e gli interventi dello storico delle foibe Vincenzo De Luca e dello scrittore di famiglia istriana Nicola Antolini per contribuire a ristabilire una verità storica a lungo rimossa, che continua ad essere insabbiata, minimizzata quando non addirittura negata da una fazione ideologica che trova significative sponde anche in ampi segmenti istituzionali e della cosiddetta “vita culturale”.
‘’In un’Italia ammorbata da scandali e moralismo, in cui si impone come accettabile solo una rilettura ‘morbida’ di una delle più grandi tragedie vissute dal nostro popolo; in una terra ai limiti del collasso, in cui nonostante i continui assalti perpetrati alla sovranità da governi tecnici e organismi sovranazionali forze fresche hanno deciso di alzare la testa, non dimenticare è un atto rivoluzionario che intende contribuire a riscattare la memoria tradita delle migliaia di italiani infoibati dalla furia slavo-comunista – si legge in una nota di CasaPound Italia - È scandaloso che a più di mezzo secolo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ricercare e affermare la verità storica sia da più parti considerato alla stregua di un reato d’opinione. È aberrante che i più giovani ignorino, per deficit didattico e talora ostruzionismo di una classe docente ideologizzata, la portata devastante della pulizia etnica perpetrata ai danni della popolazione italiana del Nord-Est, con rastrellamenti, deportazioni, torture ed esodi di massa. Manifesta il tuo dissenso: appuntamento in rete venerdì 10 febbraio alle ore 11 per ricordare agli Italiani che la verità non può essere infoibata e che ‘in un mondo di menzogne, dire la verità è un atto rivoluzionario’’’.

info: 3478057510 

giovedì 9 febbraio 2012

1983 - 2012: Paolo presente!


Noi purtroppo non siamo ancora un'élite, perché se lo fossimo sapremmo certamente guidare il nostro popolo sulla via nuova. Per ora siamo soltanto delle persone che cercano di essere uomini, uomini e donne che vivono uno stile di vita autentico; ma per essere degli uomini nuovi non basta credere in determinati valori, è necessario viverli e temprarli nell'agire, quotidianamente: questa è in parte l'importanza di fare politica. Rivoluzione non è qualcosa di astratto, che sa di miracolo : è qualcosa che si costruisce giorno per giorno, pezzo per pezzo, sbagliando e riprovando, anche col sacrificio personale, anche riuscendo a superare tanti problemi contingenti che si presentano e che spesso, anche se sembrano tanto grandi ed insormontabili, se solo li si prova a guardare con un'ottica diversa, risultano delle inezie.
Paolo Di Nella

L'aggressione...
Paolo amava il suo quartiere, e proprio in nome di questo amore aveva programmato una battaglia per l'esproprio di Villa Chigi, che voleva far destinare a centro sociale e culturale. Per far partecipare gli abitanti del quartiere a questa battaglia sociale, il 3 febbraio sarebbe dovuta cominciare una raccolta firme degli abitanti della zona.
Paolo, impegnato in prima persona nell'iniziativa, aveva dedicato gran parte della giornata del 2 febbraio ad affiggere manifesti che la rendevano pubblica. Dopo una breve interruzione, l'affissione riprese alle 22.00. Durante il percorso non ci furono incidenti, anche se Paolo e la militante che lo accompagnava notarono alcune presenze sospette.
Verso le 24.45 Paolo si accingeva ad affiggere manifesti su un cartellone, situato su uno spartitraffico di Piazza Gondar, di fronte alla fermata Atac del 38. Qui sostavano due ragazzi, apparentemente in attesa dell'autobus (N.B. in Viale Libia, non esistendo una linea notturna, dopo le 24.00 non passavano autobus). Non appena Paolo voltò loro le spalle per mettere la colla, si diressero di corsa verso di lui.
Uno di loro lo colpì alla testa. Poi sempre di corsa, fuggirono per Via Lago Tana.
Paolo, ancora stordito per il colpo, si diresse alla macchina, da dove la ragazza che lo accompagnava aveva assistito impotente a tutta la scena. Dopo essersi sciacquato ad una fontanella la ferita, ancora abbondantemente sanguinante, Paolo riportò in sede i manifesti e il secchio di colla.
Verso l'1.30, rientrò a casa. I genitori lo sentirono lavarsi i capelli, muoversi inquieto e lamentarsi. Lo soccorsero chiamando un'ambulanza, che però arrivò quando ormai Paolo era già in coma. Solo nella tarda mattinata del giorno dopo, il 3 febbraio (tardi, maledettamente tardi per le sue condizioni), Paolo venne operato, e gli vennero asportati due ematomi e un tratto di cranio frantumato.

Le indagini...
Le prime indagini furono condotte con estrema superficialità dal dirigente della Digos romana incaricato del caso, il dott. Marchionne.
Non ci furono infatti né perquisizioni né fermi di polizia per gli esponenti dell'Aut.Op. del quartiere Africano. La ragazza che era con Paolo, unica testimone dell'agguato, venne interrogata dagli inquirenti che, più che all'accertamento dei fatti, sembravano interessati alla struttura organizzativa del Fronte della Gioventù e ai nomi dei suoi dirigenti. Tutto per dar corpo, come avvenne nel '79 per l'omicidio di Francesco Cecchin, all'ignobile storiella della "faida interna".
L'istruttoria sembrò avere una solerte ripresa quando al capezzale di Paolo arrivò anche l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Passato però il momento di risonanza dovuto a questo gesto, tutto sembrò tornare ad essere chiuso in un cassetto. La sera del 9 febbraio, dopo 7 giorni di coma, la solitaria lotta di Paolo contro la morte giunge al termine: si spegne alle 20.05.
Ai militanti del Fronte della Gioventù che in tutti quei giorni si erano stretti intorno ad una speranza disperata, vegliando al suo capezzale, quasi a voler proteggere Paolo e difenderlo come non erano riusciti a fare quando era vivo, non restò che vegliare il suo corpo. Seguirono giorni di forte tensione: lo striscione commemorativo affisso a Piazza Gondar venne strappato e deturpato più volte; sui muri comparvero scritte inneggianti all'assassinio di Paolo. Il tutto condito da discorsi e commenti disinvolti e gratuiti trasmessi da radio onda rossa.
Dopo il 9 febbraio, finalmente, gli inquirenti si decisero, almeno apparentemente, a dare concretezza alle indagini. Vennero allora fatte alcune perquisizioni nelle case dei più noti esponenti dei Collettivi autonomi di Valmelaina e dell'Africano.
Uno dei massimi sospettati era Corrado Quarra, individuato perché non nuovo ad aggressioni a ragazzi di destra e molto somigliante all'identikit fornito dalla testimone.
Dopo aver tentato varie volte di sottrarsi all'incontro con i magistrati, comportamento che non fece altro che confermare i sospetti su di lui, venne emanato a suo carico un ordine di arresto per concorso in omicidio volontario, eseguito per caso la notte del 1 agosto '83. In un confronto all'americana Daniela, la ragazza che era con Paolo quella notte, lo riconobbe come colui che materialmente colpì Paolo. In conseguenza dell'avvenuto riconoscimento il fermo di polizia a suo carico divenne ordine di cattura per concorso in omicidio volontario aggravato da futili motivi.
Visti i risultati, si era quasi sicuri ormai di poter arrivare allo svolgimento del processo e all'individuazione anche del secondo aggressore.
Dopo 3 mesi di silenzio, il 3 novembre la testimone venne convocata per il secondo riconoscimento. Concentrandosi sulle caratteristiche somatiche della persona che accompagnava lo sprangatore, Daniela indicò il secondo presunto aggressore.
A questo punto si rivelò il tranello in cui era caduta: il giovane da lei riconosciuto non era l'indiziato (Luca Baldassarre anche lui autonomo dell'Africano) ma un amico da lui appositamente scelto per via della grande somiglianza. Il giudice istruttore dr. Calabria, che peraltro aveva un figlio simpatizzante degli ambienti dell'autonomia dell'Africano, disse allora beffardamente alla ragazza che, se aveva sbagliato il secondo riconoscimento poteva aver sbagliato anche il primo. Discorso preparatorio finalizzato a facilitare la scarcerazione di Quarra, che avvenne, con proscioglimento da tutte le accuse, il 28/12/1983. Questo avvenimento, che segnò la fine delle indagini sull'omicidio di Paolo, passò sotto silenzio. Se ne avrà infatti notizia solo il 30/05/1984, grazie ad un comunicato stampa del Fronte della Gioventù.


29 anni fa moriva Paolo Di Nella:
“vittima della violenza politica”.
Dall’oblio alle targhe politically correct
Non per rivangare il passato né per un semplice diritto al ricordo ma per dovere di cronaca e di verità, perché un passante che dovesse imbattersi in “via Paolo Di Nella”, all’interno di Villa Chigi, non capirebbe. Di chi si parla? «Vittima della violenza politica», si legge nella targa. La definizione non aiuta. Non più l’oblio o la mistificazione, (si disse a caldo che venne ucciso per una faida interna) adesso c’è la generalizzazione, il “dico non dico”, quasi un senso di imbarazzo, non solo per i morti degli anni di piombo (dall’una e dall’altra parte) ma anche per un ragazzo del Fdg, ucciso a vent’anni, il 9 febbraio 1983, “per futili motivi” si legge nell’archiviazione del processo ai responsabili. Sprangato da due ragazzi fermi alla fermata dell’autobus nel quartiere Africano della capitale. Lo ridussero in coma e Di Nella morì al Policlinico di Roma dopo 7 giorni di coma. Fascista? Terrorista? Nemico? Gli anni di piombo sono alle spalle, la destra giovanile ha compiuto passi importanti nel superamento dei cosiddetti “opposti estremismi”, una parte della sinistra comincia a fare autocritica. Paolo era un ragazzo mite, che si impegnava per l’intera comunità di quartiere con il pallino di restituire un parco pubblico ai cittadini. Era colpevole di affiggere manifesti scritti a mano per l’esproprio di Villa Chigi. Tanto bastò a fracassargli il cranio. Violenza politica? È una dizione “politicamente corretta”, più attenta a non offendere gli eredi dell’antifascismo militante e l’intelligenza progressista che alla verità. Per Paolo Di Nella, come per Alberto Giaquinto o Alberto Cecchin, la dizione scelta non aiuta l’Italia a ritrovare nella memoria collettiva una nuova appartenenza. Oggi per Paolo si terrà la consueta commemorazione a piazza Gondar, saranno in tanti come sempre da 29 lunghi anni. Ma sarebbe una svolta per tutti se andasse un pezzo di popolo italiano, di destra, di sinistra, di centro, di niente...
(Gloria Sabatini per il Secolo d'Italia)

mercoledì 8 febbraio 2012

Commemorazione vittime delle foibe


Sabato 11 febbraio - ore 18:00 
 Largo Caduti delle Foibe - Rione De Gasperi - Riva del Garda 

 Commemorazione in onore di tutti i martiri delle foibe e degli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia.

venerdì 3 febbraio 2012

Commemorazione vittime del Cermis


Sabato 4 febbraio CasaPound Italia porterà una corona d'alloro sulla lapide a ricordo delle vittime della Strage del Cermis del 1998, avvenuta ad opera di un aereo militare statunitense. 
La partenza da Riva del Garda è prevista per le ore 8:00.



mercoledì 1 febbraio 2012

Cermis gronda ancora di sangue e ingiustizia


Sorridevo, e così ho distrutto il video
La verità del navigatore sulla tragedia del Cermis

Un filmato amatoriale sulle bellezze del Trentino, dal Lago di Garda alle vallate dolomitiche per immortalare un pezzo del Bel Paese prima di fare ritorno a casa, negli Stati Uniti. Perché il volo del Grumman EA-6B Prowler, aereo militare statunitense del Corpo dei Marines, decollato dalla base di Aviano alle 14e36 del 3 febbraio 1998, era l'ultima missione prima della promozione del capitano Richard Ashby e del congedo del co-pilota Joseph Schweitzer. Un volo di «addestramento» che alle 15 e 13 ha colpito le funi della cabinovia del Cermis, a Cavalese, tranciandone il cavo spesso sei centimetri a una velocità di oltre 870 chilometri orari e provocando la morte dei 19 passeggeri e del manovratore. Ora Schweitzer rivela che, subito prima dell'incidente, stava effettuando riprese panoramiche con la sua videocamera. La sua faccia sorridente, in compagnia di quella del capitano Ashby, erano le protagoniste di un nastro che lo stesso Schweitzer, in preda ai rimorsi per la tragedia, ha distrutto. «Il pensiero della mia faccia sorridente vicino al sangue sulla neve alla Cnn mi consumava e ho deciso: devo avere quel nastro. Il giorno dopo l'ho distrutto». È la confessione di Schweitzer contenuta nell'inchiesta di National Geographic andata in onda ieri sera sulla piattaforma Sky. Una ricostruzione del dramma di Cavalese basata sulle testimonianze inedite dei protagonisti, dagli investigatori americani che tentarono invano di far condannare i militari fino al navigatore del Prowler, che per la prima volta parla e descrive quel video turistico eliminato per nascondere un pezzo di verità. Dopo la prima sentenza della Corte marziale americana, datata marzo 1999, nella quale pilota e navigatore vengono assolti dall'accusa di omicidio colposo, una seconda sentenza del maggio dello stesso anno stabilisce che Ashby e Schweitzer sono colpevoli di intralcio alla giustizia per aver distrutto un nastro video registrato durante il volo e che ne documentava la manovra spericolata. Lo stesso nastro che ora Schweitzer, nel frattempo insieme a Ashby degradato e rimosso dal servizio, definisce come un video ricordo di un «paesaggio splendido». Nel documentario di National Geographic l'accusa si interroga sulla sparizione del nastro. «Se distruggi la prova di un caso, quella diventa la prova che sei consapevole della tua colpevolezza. Se l'equipaggio avesse volato secondo le regole, non avrebbe bruciato il nastro», è la tesi degli investigatori che ora vorrebbero utilizzare queste nuove informazioni come ulteriore prova per far riaprire il processo. Quel nastro di cui inizialmente nessuno aveva parlato se non dopo che agli altri due membri dell'equipaggio seduti dietro era stata garantita l'immunità in cambio di ulteriori informazioni. Informazioni che erano state il sospetto lungo periodo in cui pilota e navigatore erano rimasti all'interno del Prowler dopo l'atterraggio d'emergenza ad Aviano al rientro da Cavalese. A quel punto Ashby e Schweitzer avevano parlato del nastro bruciato per vergogna più che per nascondere un volo non a norma. La difesa per salvare l'equipaggio ha parlato di illusione ottica, di cavi non segnalati sulle cartine e di insufficiente addestramento.

Il pilota
"Il pensiero della mia faccia sorridente vicino al sangue sulla neve mi consumava."
Joseph Schweitzer

Processo in America
I pubblici ministeri italiani chiesero di processare i sette militari in Italia, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento Carlo Ancona ritenne che la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense.

Il nastro distrutto
Nel maggio del 1999 il pilota Ashby venne condannato negli Stati Uniti 6 mesi e radiato dal copo dei marines per il solo reato di distruzione di prove.
Stesso verdetto per il navigatore. Insieme distrussero il nastro.

Il risarcimento
Con una legge speciale i familiari delel venti vittime del disatro (soprattutto belgi e tedeschi) vennero risarciti con circa 4 miliardi delle vecchi lire per ogni persona deceduta. Tanti soldi ma nessuna giustizia.

La corte marziale
Dei quattro membri dell'equipaggio solo due affrontarono la corte marziale negli Stati Uniti. Il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer vennero assolti dall'accusa di omicidio colposo.

Silvano Welponer , sindaco di Cavalese,
commenta così la notizia dell'inchiesta di National Geographic: «Sono abbastanza sconvolto dalla dichiarazione del copilota secondo cui per non far vedere che stava ridendo con i suoi amici ha distrutto il video. Che giustizia non è stata fatta sulla tragedia del Cermis lo sapevamo già. Un vero processo servirebbe a salvaguardare il dolore e la verità storica. Non possiamo dimenticare quello che è stato perché sarebbe come fare morire due volte quelle venti sfortunate vittime». L'assessore provinciale Mauro Gilmozzi , allora primo cittadino del capoluogo della Val di Fiemme, sottolinea come nulla oggi sia cambiato dal punto di vista giuridico: «È stata una bravata che è costata la vita a 20 persone e che è stata coperta dagli apparati Nato della base di Aviano che sapevano benissimo di quei ripetuti voli a bassa quota alla vigilia della guerra in Ex-Jugoslavia. Una forma di arroganza che è proseguita fino ai processi che hanno sì stabilito dei risarcimenti dal punto di vista civile ma non hanno emesso alcuna condanna penale verso i responsabili. La Cnn già allora aveva mandato in onda una serie di questi video girati a bordo dei velivoli da militari spesso ubriachi. Nulla oggi, da quella tragedia, è cambiato; in vigore c'è ancora il patto di Londra del 1951 sullo statuto dei militari Nato in base al quale essi restano soggetti alla magistratura militare statunitense e in Europa continuiamo a ospitare basi della Nato gestite e condotte esattamente come allora, senza alcuna modifica del trattato. L'Europa per la difesa del suo territorio dipende sempre e comunque dalle forze alleate». Nel documentario di National Geographic, girato in valle la scorsa primavera, compare anche Gianpietro De Zolt , uno dei primi uomini del soccorso alpino giunto sul luogo dell'incidente. «Ricordo ancora adesso i due reattori dell'aereo - afferma nel video -; due bocche di fuoco». Nella neve sporca di sangue De Zolt poco aveva potuto fare, se non limitarsi a un'opera di pietosa ricostruzione dei corpi. «Ricordo che subito la nostra preoccupazione andò al pensiero che l'aereo non cadesse, con i pezzi dell'ala che avevamo trovato per terra. Come cittadino ero e rimango perplesso davanti a quello che è stato un semplice giochetto. A distanza di anni resta tutto ancora inconcepibile, come il ricordo della mia bimba di 4 anni che si spaventava ogni volta che il rombo dei motori risuonava nella valle, radente al terreno. Provo ancora e sempre quell'impotenza e quella sensazione di smarrimento di fronte a una tragedia annunciata. Il soccorritore in questi casi è a sua volta una vittima; quel giorno tutti abbiamo subito un trauma che ogni volta viene riportato alla luce, con la sofferenza che ne deriva».
l'Adige 01/02/2012

***
Una tragedia. Una tragedia sembra il sempre il frutto di eventi casuali che portano ad un finale terribile. Questa non è una tragedia. 
E' una strage. 
Non una bravata. 
E' una strage. 
Compiuta con l'arroganza che solo uno straniero che occupa l'Europa può avere.