lunedì 29 agosto 2011

1917 - 1945

Carlo Borsani (Legnano, 29 agosto 1917 – Milano, 29 aprile 1945)

Medaglia d'oro al valor militare
Ferito tre volte durante tenace difesa per mantenere il possesso di delicata posizione, ancora de gente all’ospedale, chiedeva ed otteneva di partecipare col proprio reparto a nuovo cimento. Assunto volontariamente il comando di un plotone moschettieri arditi, guidava i suoi fanti all’assalto di munita posizione nemica tenacemente difesa. Benché ferito alle gambe da una raffica di mitragliatrice, non desisteva dalla lotta e, nel generoso tentativo di spingersi ad ogni costo sull’obiettivo assegnato, restava più gravemente ferito al viso, agli occhi ed in varie parti del corpo da schegge di bombe da mortaio. Ricoverato in gravissime condizioni, conscio ormai che la vista era irrimediabilmente perduta, esprimeva solo il rammarico di dover desistere dalla lotta, confermando la sua fede e la sua piena dedizione alla Patria. Quota 1252 di Allonaqiti (Fronte greco), 9 marzo 1941.

Figlio di un operaio, rimase orfano di padre in giovane età e visse per molto tempo in povertà.
Con grandi sacrifici della madre riuscì ad iscriversi all'università, che però abbandonò nel 1940 per andare a combattere da volontario contro la Francia, guadagnandosi al termine della campagna una prima medaglia al valor militare. Poco dopo aver scritto l'inno del suo reggimento fu inviato in Albania in vista dell'attacco alla Grecia.
Seppur gravemente ferito durante un assalto, Borsani continuò la battaglia venendo colpito da un colpo di mortaio che gli scoperchiò letteralmente il cranio. Dichiarato morto nello stesso giorno (9 marzo 1941), riuscì a riprendersi sebbene rimase completamente cieco: a causa di questo episodio fu decorato con una medaglia d'oro al valor militare e fu dichiarato mutilato di guerra e grande invalido.

Dopo l’8 settembre 1943, Carlo Borsani si schierò con la Repubblica Sociale Italiana, divenne presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, in RSI otterrà l'erogazione della pensione anche per gli invalidi del lavoro, e direttore di un nuovo quotidiano, La Repubblica fascista, una direzione affidatagli direttamente da Mussolini. Rimase sei mesi al posto di direttore, poi i suoi appelli a superare gli odii fratricidi gli valsero l’ostilità del tandem oltranzista Farinacci-Pavolini.

Il suo ultimo editoriale su La Repubblica fascista, prima di essere licenziato, aveva come titolo "Per incontrarci", un'apertura di dialogo con chi stava dall'altra parte, rivolto agli antifascisti.

Trascorre la sera del 25 aprile 1945 con i Marò della Decima MAS e la notte all'Albergo Nord in Piazza della Repubblica dove, al mattino, rifiuta l'offerta di Borghese di un espatrio. Si rifugia all'Istituto Oftalmico, ma il 27 dopo una spiata è rinchiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Nel pomeriggio del 29 aprile, insieme a don Calcagno, è condotto nelle Scuole di Viale Romagna e da lì in Piazzale Susa dove viene assassinato da un gruppo partigiano comunista con un colpo alla nuca.
Il suo cadavere gettato su un carretto della spazzatura, dopo aver girato per le vie dell'Ortica, Monluè e Città Studi, con il cartello "ex medaglia d'oro" giunse all'obitorio. Da lì fu portato e sepolto al cimitero di Musocco, nel Campo n. 10, fossa 1337, insieme a decine di caduti della Repubblica Sociale Italiana.

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