giovedì 14 luglio 2011

CERMIS: ecco il rapporto USA






Cermis, i Marines Usa:
«È stata colpa nostra»
Cermis: nel documento redatto un mese dopo
emerge l'ammissione di responsabilità


TRENTO 14/07/2011 - Dopo tredici anni arriva la «verità» sulla tragedia del Cermis del 3 febbraio 1995. La «verità» - da sempre sostenuta in val di Fiemme e in Trentino - su quel Prowler americano in volo di addestramento, che ha tranciato i cavi della funivia facendo precipitare al suolo la cabina. Dopo tredici anni e due processi che non hanno reso giustizia alle venti vittime della tragedia del Cermis del 3 febbraio 1998, spunta un documento redatto dalle forze armate americane a meno di un mese di distanza dal disastro - pubblicato ieri in esclusiva dal quotidiano «La Stampa» - che indica una chiara ammissione di responsabilità.
Un «mea culpa» a lungo negato dall'apparato militare americano. Eppure così chiaro a nemmeno un mese dalla tragedia: «Colpa nostra, dobbiamo pagare per queste vittime».

Il rapporto degli americani . Il documento porta la data del 10 marzo 1998. In calce la firma del comandante dei Marines, Peter Pace, che aveva incaricato il generale Michael De Longe di condurre un'inchiesta, alla quale per l'Italia avevano partecipato i colonnelli Orfeo Durigon e Fermo Missarino. La richiesta avanzata dal governo italiano a quello Usa di rinunciare alla «giurisdizione personale sui quattro membri dell'equipaggio», cade nel vuoto e così l'inchiesta rimane in capo a Pace, che firma il rapporto investigativo. Una ricostruzione che inchioda gli americani alle loro responsabilità: «La causa di questa tragedia è che l'equipaggio dei Marines ha volato molto più basso di quanto non fosse autorizzato, mettendo a rischio se stesso e gli altri. Raccomando che vengano presi i provvedimenti disciplinari e amministrativi appropriati nei confronti dell'equipaggio, e dei comandanti, che non hanno identificato e disseminato le informazioni pertinenti riguardo ai voli di addestramento. Gli Stati Uniti dovranno pagare tutte le richieste giustificate di risarcimento per la morte e il danno materiale provocato da questo incidente».
L'equipaggio e le carte sbagliate . Sull'aereo militare decollato dalla base di Aviano (denominato EA-6B) ci sono il pilota e capitano Richard Ashby, il navigatore Joseph Schweitzer, il capitano William Raney e il capitano Chandler Seagraves. Quella squadra, si ricorda, non era nota per episodi di «flat hatting», ovvero di volo spericolato. Tuttavia Ashby il 24 gennaio era stato richiamato per essersi tenuto troppo basso durante una missione. Secondo quanto ricostruito il 2 febbraio è Schweitzer a studiare la rotta per il volo di addestramento a bassa quota. Il punto è che lo fa sulle carte sbagliate. Perché? Il comandante dello Squadrone, tenente colonnello Muegge ed i suoi assistenti non avrebbero informato direttamente i piloti sulle nuove limitazioni (da qui la richiesta di Pace di sanzionare anche loro). Dall'agosto 1997, infatti, il governo italiano ha introdotto nuove regole sui voli a bassa quota nella nostra regione: è vietato scendere sotto i 2000 piedi, ovvero i 700 metri. Eppure quella direttiva, come le carte che indicavano la presenza della funivia, ricostruisce «La Stampa», vennero trovate nella cabina dell'aereo. Mai visionate. In ogni caso lo stesso Schweitzer aveva previsto di non scendere sotto i 1000 metri. L'altimetro funziona . Il capitano Ashby e gli altri colleghi di equipaggio - all'indomani della tragedia - sostengono di non avere sentito il suono del radar dell'altimetro che segnala una discesa sotto la quota stabilita. Nella relazione si rileva che al mattino quell'aereo era decollato per una missione in Bosnia. Al rientro si procede con la sostituzione del cosiddetto «G meter», ovvero l'indicatore delle forze di gravità applicate dal pilota all'aereo per un malfunzionamento. Ma «il radar altimetro funziona normalmente». L'aereo decolla alle 14,35 da Aviano e la «rotta» viene seguita in lontananza anche da un aereo radar, un Awacs, che consente di ricostruire anche la traiettoria del velivolo, unitamente ai dati di bordo. L'impatto finale . Si consuma la tragedia: l'aereo ha tranciato i cavi della funivia. Ma «il pilota dice che non sapeva della funivia». A quel punto avrebbe cercato di «spingere il naso in giù, nel tentativo di sopravvivere ed evitare la cabina». Il capitano Schweitzer era «scioccato nel vedere un cavo, mentre Ashby fa picchiare l'aereo. Poi sente un rumore sordo, ma pensa che sono passati sotto». Raney «sente l'impatto ma non vede cosa è stato colpito». Il momento dell'impatto è fissato con certezza: «Alle 15.13 il cavi della funivia del Cermis vengono colpiti da Easy 01 (questo il nome in missione ndr), ad un'altitudine non superiore ai 113 metri, o 370 piedi». Il radar dell'altimetro era regolato sugli 800 piedi e dunque nelle cuffie è arrivato il segnale che indica la discesa sotto la quota prestabilita. Errore dell'equipaggio . Le conclusioni alle quali giunge il generale Pace sono nette: «La causa dell'incidente è stata un errore dell'equipaggio. Ha manovrato aggressivamente l'aereo, superando la velocità massima di 100 miglia all'ora e scendendo molto più in basso dei 1000 piedi di altezza». Ed ancora: «L'impatto non è stato un caso fortuito, perché l'equipaggio ha volato più basso e più veloce di quanto fosse autorizzato, ovunque il terreno lo consentiva». E la velocità «eccedeva il limite dei 24 nodi». Il video cancellato. Nel rapporto si dà atto anche del ritrovamento di una videocamera nella cabina di pilotaggio: «Nessuna informazione era registrata». A cancellare tutto fu Schweitzer: la piena confessione gli eviterà la cella. Il capitano Ashby, invece, venne condannato a 6 mesi e liberato per buona condotta dopo 4 mesi e mezzo. Ma solo per avere distrutto il video. L'accusa di omicidio colposo plurimo, invece, era già caduta in primo grado. Alla faccia di quel rapporto investigativo Usa: «È colpa nostra, dobbiamo pagare».

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il commento
L'avvocato di Cavalese:
«Ci siamo sempre battuti per l'affermazione della giurisdizione italiana»
«Questa è una vittoria etica»

Beppe Pontrelli: «Il Comitato aveva ragione»


«Dal punto di vista giuridico questo rapporto investigativo non cambia nulla, ma è una vittoria dal punto di vista etico». Ne è convinto l'avvocato Beppe Pontrelli di Cavalese, fondatore del Comitato 3 febbraio per la giustizia e legale di parte civile del macchinista miracolosamente scampato al disastro. «Giuridicamente - rileva - non si poteva che fare riferimento ai trattati internazionali, dunque al trattato Nato e ai patti di Londra del 1951. Ma questo documento prova che dal punto di vista etico il Comitato della giustizia 3 febbraio di Cavalese aveva del tutto ragione. Il Comitato - ricorda - si era battuto per l'affermazione della giurisdizione italiana». E l'avvocato Pontrelli ribadisce che questa strada era percorribile: «Nell'ambito del trattato Nato si poteva e si doveva, a nostro avviso, fare pronunciare la giurisdizione italiana. Sia il presidente Scalfaro che l'allora ministro della difesa Andreatta, a Salerno, tre giorni dopo il fatto, dicevano che la giurisdizione italiana andava riconosciuta. Invece sarebbe stato giusto sanzionarli e punirli per la loro bullaggine, perché credo che quei piloti avessero scommesso di passare sotto i cavi della funivia». Le cose, però, andarono diversamente: i quattro membri dell'equipaggio vennero giudicati davanti al tribunale della base dei Marines a Camp Lejeune: «Gli americani portarono i loro piloti in America e fecero un processo farsa. Tanto è vero che vennero condannati due soli dei quattro capitani, nonostante fossero tutti pari grado. Nessuno fece interrompere quel volo sciagurato. Ed i due capitani tecnici addetti al volo elettronico furono utilizzati come testi di accusa: testimoniarono davanti alla corte marziale contro il pilota e il copilota Ashby e Schweitzer, dicendo che erano loro i responsabili. E allora ci siamo trovati di fronte ad una assoluzione dall'accusa di omicidio colposo plurimo e una condanna per la distruzione della prova della loro innocenza (ovvero il video che era stato distrutto)». Ma una cosa, ricorda, è la ricostruzione del fatto, altra la valutazione delle conseguenze sulla punibilità. «Noi chiedevano che venissero puniti dalla giustizia civile italiana - conclude - Invece i piloti vennero portati in America. Ma questa è comunque una bella soddisfazione per il Comitato».


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Il ricordo di quel pomeriggio del
3 febbraio 1998 rimane incancellabile


I l ricordo di quel pomeriggio del 3 febbraio 1998 rimane incancellabile. La cabina della funivia schiacciata nella neve, i corpi e i rottami, i pezzi dell'aereo sopraggiunto a bassa quota tranciando il cavo. Mauro Gilmozzi , allora sindaco, era in municipio a Cavalese quando la terribile notizia gli giunse dai vigili del fuoco. Dopo la corsa in riva all'Avisio e i primi soccorsi, la conta dei morti, dopo tanto dolore, per le vittime ancora non c'è stata giustizia. Nel rapporto pubblicato ieri Gilmozzi, assessore provinciale all'urbanistica, più che novità legge conferme. «Sembra un po' un verbale steso poco dopo l'accaduto - argomenta - ed emerge quello che è sempre stato sostenuto. Si sapeva che l'apparato militare Usa ha tutelato i piloti, sostenendo che non avevano le cartine che segnavano la posizione della funivia, unica incongruenza che mi pare di cogliere. Ma non so sinceramente che significato possa avere oggi». Resta il fatto che dopo i venti morti del Cermis e i processi negli Usa (con l'unica condanna del pilota Richard Ashby per la distruzione del video girato da una telecamera a bordo dell'aereo) gli accordi con gli Stati Uniti non sembrano essere stati riveduti: «Avevamo rilanciato questo tema - ricorda Gilmozzi - perché sono regole di cinquant'anni fa e servono garanzie ben chiare. Questo è un tema rilevante, oltretutto sul territorio italiano le vittime furono soprattutto di altri Paesi europei». I risarcimenti sono stati pagati, ma sulla base di un accordo fra Stati. Intanto, a Cavalese la memoria del Cermis viene mantenuta viva anno dopo anno. Alle celebrazioni c'è la presenza costante di due famiglie belghe e di una olandese che piangono i loro cari. Nel 1998 le vittime furono venti, quasi tutte straniere: otto tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due italiani (tra i quali Marcello Vanzo di Masi), un austriaco, un olandese, una italo-austriaca. I loro nomi si aggiungono agli altri 42 della tragedia del 1976. C'è chi vorrebbe lasciare alle spalle il dolore, ma ricordare deve aiutare a scongiurare altre sciagure causate da mano umana. Lo ha ricordato il 3 febbraio scorso, nella celebrazione per i due anniversari del Cermis, il nuovo sindaco Silvano Welponer : «C'è chi crede - aveva detto - che parlare di queste tragedie sia riaprire una ferita che ancora stenta a rimarginarsi. Se questo può essere comprensibile, è altrettanto vero che noi tutti, i primis i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, abbiamo il dovere di non uscire dalla strada maestra del ricordo e della memoria, che è un dovere morale ed un atto di impegno sociale, umano e civile». C'è, comprensibilmente, chi vorrebbe dimenticare: Fiemme ha subìto tre grosse tragedie fra le due del Cermis e quella di Stava, ma Welponer ribadisce il concetto: «C'è un senso comune radicato sul fatto che di fronte a tanti altri problemi - spiega - non serva ricordare sempre anche questo. Ma noi siamo un'istituzione pubblica: abbiamo il dovere di farlo, e di ammonire sull'errore umano». Don Renzo Caserotti manca da Cavalese da tre anni, ma la tragedia del Cermis non potrà mai scordarla: «Fiemme era già una valle provata da Stava e dal primo Cermis - rammenta il parroco, ora a Trento -; l'aereo che tranciò i cavi della funivia fu una botta ulteriore, anche per la modalità del fatto e per quello che è avvenuto dopo, una beffa». Don Renzo ha fatto fronte al dolore con la fede: «Nella fede, di fronte alle insipienze umane, si può trovare aiuto, forza e consolazione».

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Il fatto. Il cavo della funivia tranciato
e la cabina caduta nel vuoto

Venti vittime del Prowler assassino


Erano da poco passate le 3 del pomeriggio del 3 febbraio 1998, quando l'insipienza umana si è purtroppo trasformata in tragedia. Un Prowler, un aereo utilizzato dall'aviazione degli Stati Uniti tranciò le funi di sostegno del tronco del primo tratto della funivia del Cermis. Al comando del velivolo c'era il capitano dei Marines Richard Ashby, decollato dalla base di Aviano per un volo di addestramento. Ormai priva di sostegno, la cabina, sulla quale stavano viaggiando venti persone, precipitò da un'altezza di 80 metri. Ai testimoni increduli e ai primi soccorritori, la scena si era presentata nella sua gravità, mentre il Prowler, sia pure danneggiato, era riuscito a tornare alla base. Nessun superstite. Questo l'elenco delle vittime: Marcello Vanzo (Cavalese, Trentino), Maria Steiner-Stampfl (Alto Adige, Bressanone), Edeltraud Zanon-Werth (Alto Adige, Bressanone), Anton Voglsang, Sonja Weinhofer (Austria); Jürgen Wunderlich, Uwe Renkewitz, Annelie Urban, Harald Urban, Marina Mandy Renkewitz, Michael Pötschke, Dieter Frank Blumenfeld (Germania); Ewa Strzelczyk, Philip Strzelczyk (Polonia); Stefaan Vermander, Rose-Marie Eyskens, Sebastian Van den Heede, Stefan Bekaert, Hadewich Antonissen (Belgio); Danielle Groenleer (Olanda).

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E chi paga per le coperture? E per le prove mistificate? La giustizia ci sarà solo quando le basi saranno smantellate e non dovremo più subire le prepotenze degli occupanti.

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